elle di sinistra rischiano di cadere sulla nave che va sempre più inclinandosi.
Vengono gettati in mare gli zatteroni di sughero, le ciambelle salvagente.
La riva non é molto lontana. Qualcuno, anche se ferito, si getta in acqua. Stanno giungendo i soccorsi, imbarcazioni dei natanti alla fonda, della Capitaneria. Il sangue dei feriti attrae gli squali che infestano quelle acque, e che si avventurano fin dentro il porto in cerca dei rifiuti gettati da bordo.
Gli Ufficiali della nave raccomandano la calma, raccomandano di usare le corde per calarsi nelle scialuppe, ammoniscono a non gettarsi in mare. Il panico, però, non consente di ragionare. Molti di quegli uomini, i militi, hanno visto il mare solo al momento d’imbarcarsi, a Napoli. Vengono dalla Sila, dall’Abruzzo. Si tuffano, anche se non sanno nuotare. Qualcuno riesce, faticosamente, ad avvicinarsi agli zatteroni, alle scialuppa, ma a volte scompare come risucchiato dall’acqua, e poi riaffiora orrendamente dilaniato dagli squali. Più dilaga il sangue nell’acqua, più accorrono i pescecani.
Il “Cesare Battisti” si appoggia completamente sul fianco destro, con la parte sinistra affiorante, e il mare seguita ad invaderlo, con fragore assordante.
***
La nostra cabina, numero 13, é quasi sotto il salone delle feste dove siamo al momento dello scoppio, sulla sinistra della nave. Sediamo intorno a un tavolo: mia madre 36 anni, io 15, mio fratello 11, mia sorella 5.
Aiutati dai marinai, riusciamo a liberarci dal pesantissimo tavolo che ci é caduto sopra. Mamma, dolorante, resta sdraiata, sul pavimento, mio fratello e mia sorella vengono portati sulla passeggiata di sinistra, dove é sempre più difficile restare in equilibrio.
In quel momento mi viene in mente che in cabina, nell’armadio, é serbata ‘la borsa…’ con i soldi, i gioielli…Bisogna recuperarla.
Siamo in una situazione impossibile. Nulla più é in piano, non l’assito della passeggiata. Le pareti sono oblique. Non si riesce a restare in piedi. Si cerca di comprendere cosa sia accaduto, cosa debba ancora succedere.
S’avvicinano due marinai, indossanti delle canottiere, che una volta erano state bianche, con la scritta “Tirrenia–Lombardia”. Sono dell’equipaggio di un piroscafo attraccato alla banchina. Da terra, dalle navi, dalle postazioni militari, fasci luminosi esplorano il “Cesare Battisti” e le acque circostanti. Gli uomini ci guardano, prendono in braccio la piccola bimba che reca sul volto le tracce di qualche ammaccatura, tendono la mano al ragazzo col viso rigato dal sangue che gli cola dal capo, dicono che avrebbero inviato una lettiga per la donna distesa sul pavimento inclinato. Io posso camminare, non ho segno di lesioni. Dopo qualche minuto giungono dei soldati della sanità con una barella e delle cinghie. Adagiano mia madre nella barella, la assicurarono con le cinture, e con pericolose acrobazie riescono a calarla in una ...
Autore: pp